Bisogno e desiderio

“La mancanza di qualcosa che si desidera è una parte indispensabile della felicità”. Questo celeberrimo aforisma di Bertrand Russell ci porta a considerare un fattore fondamentale dell’esistenza umana: quanto sia importante l’appagamento dei desideri per essere felici. Ma prima di affrontare questa tematica è indispensabile operare una distinzione tra bisogni e desideri.

Il bisogno esprime una necessità primaria dell’organismo, la cui mancata soddisfazione non consente di vivere adeguatamente. Il bisogno è collegato a degli stati di tensione che richiedono di essere soddisfatti attraverso un processo di tipo omeostatico; i bisogni -sempre attivi  per tutta la vita- sono non-oggettuali, cioè non sorgono dall’incontro tra l’oggetto e il soggetto.

Il desiderio, al contrario, è sempre connesso ad un oggetto. Non esisterebbe  desiderio senza un oggetto e, allo stesso tempo, non sarebbe concepibile relazionarsi con gli “oggetti” senza il desiderio di essi. Il desiderio è quindi un compromesso tra il soggetto, i suoi bisogni di base e l’ambiente. È dall’incontro dinamico tra il sé e l’ambiente che nascono i desideri. Essi hanno una origine secondaria al bisogno che invece rappresenta la base biologica dell’essere vivente. Tutti i bisogni discendono da due principi: “di conservazione della specie” e “di conservazione dell’individuo”.

Da quanto finora esposto, emerge come bisogni e desideri siano strettamente legati tra loro. I primi sono condizioni comuni a tutti gli esseri umani, mentre la gamma dei secondi è pressoché infinita.

Maslow (1954) nella sua teoria, sostiene che alcuni bisogni vanno soddisfatti prima che nascano quelli del livello successivo. In questa gerarchia, abitualmente rappresentata attraverso un’ipotetica piramide, alla base vi sono i bisogni fisiologici di fame, sete, sonno, di potersi coprire e ripararsi dal freddo. Se questi bisogni fondamentali, connessi con la sopravvivenza, vengono soddisfatti, l’essere umano aspira ai livelli successivi dell’ipotetica piramide, ossia ai bisogni di sicurezza, di appartenenza ad un gruppo,  di stima, e di autorealizzazione. Quest’ultimo è inteso come l’esigenza di realizzare la propria identità e di portare a compimento le proprie aspettative, nonché di occupare una posizione soddisfacente nel proprio gruppo. E’ qui che si inserisce la naturale inclinazione dell’uomo ad affermare se stesso, a manifestare le sue naturali inclinazioni, ad esprimere nell’ambiente tutte le sue potenzialità.

Ma il bisogno di autoaffermazione non è il più evoluto per l’essere umano, infatti, all’ultimo livello della piramide vi è il “bisogno di trascendenza” concepito come tendenza ad andare oltre se stessi, per sentirsi parte di una realtà più vasta, cosmica o divina.

Per esemplificare la distinzione tra bisogni e desideri, mi avvarrò dell’esempio più facile: il bisogno innato e fisiologico di cibo. Il bisogno di essere alimentato, per esempio, apparentemente può corrispondere con il desiderio di cibo. Una sensazione di fame esige naturalmente di alimenti, ma il bisogno è di essere sfamato. Il desiderio connesso all’oggetto che porterà all’appagamento del bisogno, sostituirà l’ esigenza in conseguenza della reiterazione delle esperienze oggettive di regolazione della necessità fisiologica.

Il bambino affamato, attraverso le sue esperienze antecedenti, arriverà quindi ad anelare dapprima l’ individuo che lo ristorerà e, in un secondo tempo, l’oggetto cibo. Se il bisogno e il desiderio convergessero, allora non esisterebbero determinati gusti o preferenze alimentari (é noto tuttavia che i pubblicitari tentano di stuzzicare i nostri desideri più che i nostri bisogni).

Il bisogno ed il suo positivo appagamento sono indispensabili affinché il desiderio sia strumentale alla vita dell’ individuo. Le difficoltà insorgono in caso di soddisfazione inefficace del bisogno di base o appagamento inadatto o parziale di esso.

Un percorso ontologico di desideri successivi al primo male-interpretato, potrebbe distorcere ed allontanare dal bisogno di base che rimarrebbe insoddisfatto, causando uno sviluppo non completamente sano del Sé. I desideri adeguati sorgono nelle condizioni in cui il bisogno sottostante è stato riconosciuto dal soggetto e validamente appagato dall’ambiente circostante ed il processo di sviluppo sia stato meno condizionato da meccanismi difensivi. Un desiderio disfunzionale discende da un ambiente  incapace sia di procurare l’appropriata soddisfazione al bisogno, sia di riconoscerlo.  Il processo di sviluppo è spesso complesso da identificare ed il materiale che ne può consentire la ricomposizione è quasi sempre inconscio, a causa dei meccanismi difensivi. Un esempio di desiderio disfunzionale è la ricerca di cibo in virtù di un bisogno d’attaccamento. L’esperienza dell’abbuffata può accompagnare questa linea di sviluppo.

L’eziopatogenesi di una patologia alimentare come la bulimia può fornire delucidazioni su come avviene la sovrapposizione e la conseguente confusione tra un bisogno e un desiderio. Un bambino avverte la prima sensazione di fame, quindi attraverso il pianto ricerca  l’intervento della madre che lo alimenta in maniera adeguata. L’esperienza si ripete quotidianamente. La madre però, ogni volta che il bambino piange, lo nutre o lo cambia, ma non gioca con lui, non lo accarezza e non lo coccola. Qualsiasi segnale del bambino viene letto dalla  madre come un’ esigenza di essere alimentato. Questa esperienza si reitera nel tempo. Il bambino cresce. Quando è triste o fa i capricci la madre lo calma con un cioccolatino anziché prenderlo in braccio o giocarci. Il bambino inizia a esigere sempre dolci, cioccolatini, che equivalgono a manifestazioni d’affetto suppletive. Il soggetto che esperisce una siffatta situazione, interpreterà una sua necessità di attaccamento, o una sua esigenza esplorativa, come bisogno di cibo. Pertanto, avrà la tendenza a ricercare il cibo piuttosto che l’affetto. Ciò che si è verificato è una sovrapposizione tra il bisogno di attaccamento e il desiderio dell’oggetto dell’attaccamento male-introiettato come cibo. Quindi il bambino potrebbe desiderare cibo per appagare un bisogno completamente differente. La mancata soddisfazione del bisogno originario condurrà ad una ricerca affannosa di cibo come se ci fosse un “buco” da colmare, una lacuna profonda che non possono mai essere veramente riempiti.

Questo meccanismo di insoddisfazione dei bisogni di base e la successiva sostituzione con desideri disfunzionali spiega anche perché spesso le persone si aggrappano ostinatamente e rimangono fedeli a modalità di relazione che provocano loro una gran quantità di dolore e sofferenza.

 

L’essere umano si interfaccia con la realtà esterna attraverso i desideri che soltanto in minima parte sono direttamente accessibili alla coscienza. Rimozione, negazione, ed altri processi difensivi che agiscono nel corso dell’esistenza, tendono a mascherare molti desideri, soprattutto quelli soggettivamente rifiutati, e a occultarli sotto il livello di coscienza. Questo è il fitto  groviglio dei desideri, cioè una densa rete che opera perlopiù senza il barlume della consapevolezza e che, inevitabilmente, influenza e controlla la nostra esistenza, i nostri comportamenti, le nostre relazioni.

I desideri consci rappresentano soltanto ciò che emerge in modo manifesto e quello su cui si basano, in apparenza, molte delle nostre interazioni.

Quando un desiderio è predominante rispetto ad altri, in base ad una scala gerarchica dinamica, altri sono in secondo piano o sullo sfondo.

I desideri hanno la funzione di favorire l’appagamento dei bisogni di base, tale soddisfazione è essenziale affinché l’organismo riesca a vivere.

La salute è influenzata da quanto ogni bisogno sia stato sufficientemente appagato e quindi da come i desideri (di ogni ordine) siano connessi geneticamente a bisogni determinati e più circoscritti. Un desiderio primario può affiorare in qualsiasi fase della vita, non possiede sempre un’ origine infantile.

Il desiderio è  un dispositivo  di cui la natura ci ha dotato per fronteggiare numerose necessità. È ciò che rende così duttile ed flessibile l’essere umano. Se l’individuo per soddisfare le proprie esigenze fosse provvisto di desideri limitati, sarebbe un soggetto dipendente, incapace di agire liberamente e di adattarsi a diversi contesti. Nel corso dello sviluppo del Sé, l’essere umano acquisisce desideri più o meno validi in relazione a fattori evolutivi.

Il desiderio, geneticamente, è successivo al bisogno. Da un medesimo bisogno possono scaturire più desideri. Ogni desiderio primario, a sua volta, diventa origine per altri desideri secondari.

Spesso un desiderio “adulto”, che può apparire scollegato ad un  identificato bisogno di base , è in realtà prodotto da uno di essi. La realizzazione di un desiderio, di qualsiasi natura, rappresenta ineluttabilmente un tentativo di appagamento di uno o più bisogni. Uno stesso desiderio può soddisfare più bisogni simultaneamente, come più desideri differenti possono confluire nell’appagamento di un unico bisogno.

Ciò che si sta verificando da circa un ventennio nella nostra cultura occidentale è il processo di induzione di nuovi desideri. Attraverso i media si circuisce la psiche dell’uomo fino a costringerlo a pensare che l’ oggetto pubblicizzato sia indispensabile. Il desiderio del tal oggetto non è spontaneo, ma indotto, e tuttavia non è meno potente e assume quell’ impellenza tipica dei bisogni.

Nel marketing si  considerano i bisogni come ciò di cui il target necessita da un punto di vista razionale. I desideri sono invece connessi a sfere della psiche molto meno razionali e spesso molto più potenti, tanto da predominare frequentemente sui bisogni

Il cliente, se intende acquistare un automobile, avvertirà probabilmente il bisogno di conoscerne le caratteristiche, le prestazioni, i prezzi,  in modo da poter compiere una scelta razionale tra i vari modelli. Ma il cliente desidera probabilmente anche comunicare qualcosa di sé attraverso quella scelta, come ad esempio attestare il proprio status sociale, sedurre, sentirsi più giovane. In ogni mercato e per ogni prodotto, c’è uno specifico mix di bisogni  e desideri. Questi ultimi sono superflui e non conoscono saturazione, si susseguono all’infinito e non portano mai alla vera felicità, anzi essi determinano una confusione del vivere, una insoddisfazione perenne che non porta mai al vero appagamento.

Il risvolto psicologico del processo di induzione di nuovi desideri deve portarci a questa riflessione: siamo talmente impegnati in ogni istante a soddisfare dei bisogni, naturali o indotti,  che  i desideri hanno soffocato e oppresso inesorabilmente i bisogni. Il risultato è visibile a tutti: la miriade infinita di desideri elicitati a scopo di lucro reprime la vita spirituale-filosofica-riflessiva dell’essere umano

Il narcisismo: una visione psicodinamica

Chi è il narcisista? I Tratti comportamentali del disturbo

Il narcisismo è una patologia sempre più diffusa nell’odierna società occidentale, sia perché la nostra società propone modelli valoriali fondati sull’ individualismo e sull’egocentrismo, sia perché i legami familiari sono sempre più fragili e frammentari, producendo disturbi di personalità narcisistici.

Il disturbo narcisistico è caratterizzato da un senso imperfetto del sé e da una incapacità di tenere un livello stabile di autostima.

A livello comportamentale il narcisista esibisce fantasie infondate ed irrealistiche di essere superiore agli altri e si aspetta per questo, trattamenti speciali, disconoscendo la realtà. E’ un individuo saccente, arrogante e presuntuoso che esterna uni senso di grandiosità, un bisogno illimitato di ammirazione. Egli inoltre, pur essendo sostanzialmente indifferente verso gli altri, e disinteressato ai loro bisogni, è  ipersensibile al loro giudizio poiché tenta disperatamente di trovare conferme alla sua fragile autostima.

Il narcisista si sente esageratamente importante e si aspetta di essere notato, pur senza aver raggiunto una posizione sociale ragguardevole e di successo. Anzi, egli è costantemente immerso in fantasie di successo, potere, fascino e si considera così speciale che solo altre persone o istituzioni speciali possono capirlo o frequentarlo. E’ un soggetto che richiede costante ed eccessiva ammirazione da parte degli altri, pensando che tutto gli sia dovuto e di aver diritto a trattamenti di favore.

Dal punto di vista relazionale sfrutta gli altri per raggiungere i propri scopi e manca totalmente di empatia: non riconosce e non percepisce i sentimenti e i bisogni altrui. E’ inconsapevolmente invidioso, ma ritiene viceversa di essere costantemente invidiato.

In definitiva è un soggetto arrogante e sprezzante, spesso ipercritico ed aggressivo.

DOVE NASCE IL NARCISISMO?

Il narcisismo è un tratto evolutivo sano e normale nello sviluppo dell’essere umano. In forma sana il narcisismo si esprime come sicurezza e fiducia nelle proprie capacità e in un buon livello di autostima, deviazioni dal normale sviluppo evolutivo portano alla forma patologica del disturbo narcisistico di personalità.

Nella strutturazione dell’autostima del bambino, giocano un ruolo fondamentale le figure di accudimento. Il nascente sé infantile è debole e amorfo e necessita di genitori empatici per svilupparsi. La relazione tra il bambino e i suoi genitori è l’elemento di base per lo sviluppo della struttura psichica e dell’autostima.

Il bambino- come afferma Kouth- esprime i suoi due bisogni narcisistici fondamentali e naturali, ossia quello di esibire le sue capacità in via di sviluppo e di essere ammirato per questo e quello di formarsi un’immagine idealizzata dei genitori. La prima forma di narcisismo rappresenta il sano senso di onnipotenza e grandiosità del bambino (“sono perfetto e tu mi ammiri”); la seconda forma narcisistica esprime invece il bisogno di sperimentare un senso di fusione con il genitore idealizzato (“sono perfetto e sono parte di te”). Tutti i fallimenti del genitore nel rispecchiare questi bisogni narcisistici del figlio, andranno a determinare ferite permanenti nel nucleo dell’autostima che il soggetto costituirà. Il genitore ipercritico e svalutante nei confronti del figlio, oppure che si mostra assente e indifferente rispetto al suo ruolo genitoriale o ancora caratterizzato da debolezze e fragilità caratteriali che non gli consentono di porsi come una valida figura di riferimento con cui il figlio può identificarsi e idealizzare, sono potenzialmente in grado di determinare un disturbo narcisistico.

Il sé grandioso ed il sé idealizzato del bambino andranno infatti a formare i due poli permanenti della strutturazione della personalità, entrambi fondamentali per la formazione di un sé sano e coeso e dell’autostima: la tendenza alla grandiosità, all’esibizionismo, espressa come sana ambizione e sicurezza di sé e la capacità di  idealizzare, che si manifesta con la formazione di un solido e salutare sistema di  principi e valori morali.

Un disturbo in uno dei due poli può essere compensato da un adeguato sviluppo dell’altro. Se però non si sviluppa nessuno dei due poli, si arriva ad una psicopatologia narcisistica caratterizzata da un senso imperfetto del sé e da una incapacità di tenere un livello stabile di autostima.

PARANOIA E NARCISISMO

Ma come fa il narcisista ad alimentare le sue fantasie onnipotenti e disconoscere la realtà della sua natura fragile e peritura e del suo sé frammentato e destrutturato?

E’ chiaro che per disconoscere la realtà e per adattarla ad un sistema di idee e convinzioni assolutamente idiosincratiche e deliranti, deve esservi un grosso dispendio di energie psichiche, la propria attenzione deve essere interamente utilizzata  per cercare nella realtà dati a conferma della proprie convinzioni onnipotenti e per arginare quei dati che, invece, andrebbero a confermare l’inferiorità e la disgregazione del sé di questi soggetti. Ed ecco allora che accanto all’ atteggiamento presuntuoso, prevaricante ed arrogante di questi individui, troveremmo dei tratti paranoidi che hanno la funzione di mantenere alta l’attenzione sul comportamento degli altri e sulla realtà circostante, per cercare quelle informazioni indispensabili al mantenimento di una fragile autostima e per occultare, contemporaneamente, i dati che la andrebbero ad annientare e disgregare ulteriormente.

Il narcisista ingabbiato da un falso sé, persegue l’illusorietà della predominanza dell’“avere” sull’essere, considerando il successo esibito e l’ammirazione altrui come gli unici scopi della sua vita.  La sua esistenza sembrerà apparentemente in relazione con gli altri, ma internamente solitaria e priva di valori ed ideali. Il narcisista con il passere degli anni sarà sopraffatto sempre più dal terrore e dall’angoscia della morte, della vecchiaia e della malattia che si uniranno ad un vuoto relazionale, ad un’ autostima sempre più carente e ad una sensazione di sfiducia nella vita, d’altronde

cosa diventa un presuntuoso privo della sua presunzione? Provate a levar le ali ad una farfalla: non resta che un verme.”

(Nicolas de Chamfort)

Le cause della dipendenza affettiva: l’attaccamento insicuro – ambivalente alla madre

La relazione primaria madre-bambino rappresenta il prototipo delle future relazioni d’amore. La relazione con le figure genitoriali dell’infanzia condiziona e determina il nostro  modello di attaccamento, ossia il modo in cui ci predisponiamo a livello cognitivo, emotivo e comportamentale, a vivere tutte le relazioni future, comprese quelle di coppia.

L’attaccamento insicuro – ambivalente è caratterizzato da un’ambivalenza di fondo nel rapporto con il genitore, un sentimento di amore e odio. Se la madre ha dei problemi propri, irrisolti, vivrà questa primissima relazione con il figlio in modo ambivalente: ella tema inconsciamente di essere logorata da questo piccolo essere così pretenzioso ed esigente che può manifestare in modo palese e disinvolto i propri bisogni. Quindi da una parte vizierà il suo bambino fino a soffocarlo, ma poi, all’insorgere della sensazione di essere da lui consumata, lo frustrerà bruscamente ed in modo eccessivo. Se la madre vizia in modo esagerato il piccolo e lo soffoca, egli non impara a sapere attendere e non acquisisce la fiducia che dopo lo stato di tensione, dolore e bisogno seguirà la soddisfazione e l’allentamento della tensione. Il bambino apprende un sentimento di sfiducia, diffidenza ed inaffidabilità nei confronti del genitore, a volte è amorevole e disponibile, a volte è inspiegabilmente frustrante, cattivo, assente, distaccato, oppressivo, asfissiante. Egli stesso quando il genitore è amorevole e accudente si sentirà buono, quando il genitore è rifiutante o intrusivo si percepirà cattivo.

L’attaccamento insicuro – ambivalente e relazioni sentimentali

Queste sensazioni di diffidenza, ambivalenza verso se stessi e verso l’altro, si estenderanno nel rapporto con il partner. Anch’egli infatti sarà percepito a volte amorevole, altre detestabile, si sospetterà continuamente di lui, si temerà sempre che l’altro possa interrompere inaspettatamente la relazione o che possa tradire. Per un deficit di autostima e una negativa percezione di se stessi, non ci si sente degni di amore e di cure e si dubita del proprio valore.

I soggetti con attaccamento insicuro-ambivalente sono individui che spesso non si sentono capiti, nutrono costantemente la paura di essere lasciati dal partner o di non essere amati, hanno scarsa fiducia in se stessi e nell’altro. Nelle relazioni affettive sono dipendenti e non riescono a manifestare esplicitamente i propri bisogni perché il fulcro delle loro dinamiche relazionali è il timore della perdita o del rifiuto.

Nel vivere un rapporto di coppia evidenziano grandi difficoltà a causa del loro conflitto  inconscio tra il bisogno simbiotico di fondersi con il partner e l’angoscia che la realizzazione di questa fusione comporta. Da ciò derivano le loro esplosioni di rabbia, le scenate di gelosia e i sospetti sulla presunta inaffidabilità e distanza emotiva del compagno. I loro sforzi di dare vita a relazioni significative sono governati, emotivamente, dal senso della perdita e dall’insicurezza.

Si innamorano facilmente, ma ritengono arduo incontrare il vero amore, vissuto come un qualcosa di alternante e discontinuo. Vivono l’amore come un’ossessione, caratterizzato da alti e bassi emotivi, da una intensa attrazione sessuale e da forti sentimenti di gelosia nei confronti del partner.

 

Problem Solving: quando la frustrazione fa bene

La frustrazione è la condizione in cui viene a trovarsi l’individuo quando è ostacolato nel soddisfacimento dei propri bisogni, o nella gratificazione dei suoi desideri. È una condizione psicologica che si verifica quando un ostacolo impedisce il conseguimento di un nostro obiettivo.

L’esperienza della frustrazione, molto comune nell’esistenza di ognuno, ha un valore formativo importante poiché favorisce la ricerca di soluzioni al problema; tuttavia una condizione costante di frustrazione è nociva in quanto in grado di bloccare indefinitamente un comportamento, generando nel lungo termine un profondo e doloroso sentimento di impotenza.

Seligman (1986) aveva coniato il termine di “IMPOTENZA APPRESA”, che si sviluppa a seguito di numerose e ripetute esperienze frustranti.

Questa condizione psicologica è caratterizzata da:

  • perdita della speranza: l’individuo, a fronte dei fallimenti ripetuti nel raggiungimento di un obiettivo, si convince di non essere in grado di poterlo raggiungere
  • sopravvalutazione dell’ostacolo: l’individuo non solo vede l’ostacolo come ormai insormontabile ma perde anche la capacità cognitiva di “vedere” – in se stesso e nell’ambiente –  le risorse necessarie per fronteggiare la difficoltà.

L’impotenza appresa arriva a strutturarsi come uno stabile sistema di credenze ed opinioni, in base a cui l’individuo, di fronte ad un ostacolo anche temporaneo, sviluppa l’idea irrazionale che non ci sia nessuna risposta risolutrice.

Se numerose esperienze frustranti possono generare patologia, l’assenza delle stesse, invece, può portare al blocco dei tentativi di cercare soluzioni al superamento delle difficoltà. In condizioni ottimali la presenza dell’ostacolo fa valutare delle soluzioni possibili del problema che comportano la possibilità di dividerlo in compiti più semplici, di riorganizzare gli elementi a disposizione, di valutare e scegliere tra varie alternative disponibili. Si aumenta, in questo modo, lo sforzo sia fisico che cognitivo che la persona mette in atto, incrementando le possibilità di successo nel raggiungere lo scopo che ci si è prefissato.

Un individuo che non ha mai avuto esperienza di impedimenti nella realizzazione dei suoi desideri, potrebbe rimanere bloccato nel mettere in atto risposte adattive per superare l’ostacolo e questo a causa della scarsa abitudine a ragionare in termini di “problem solving”, attitudine che si instaura soprattutto a seguito di esperienze frustranti.

La frustrazione è un importante veicolo per giungere alla scoperta di se stessi. L’insoddisfazione dovuta al fatto di accorgersi che non tutti i desideri trovano immediato appagamento, porta alla scoperta della propria dipendenza dagli altri e conduce alla percezione dei propri limiti e dell’esistenza di un mondo esterno sul quale il nostro potere è limitato. L’assenza totale della frustrazione è rischiosa.

Molti genitori di oggi, invece, assecondano in tutto i loro figli ed acconsentono alle pretese e alle richieste più assurde e disparate per evitargli la minima delusione. Essi credono in questo modo di realizzare la felicità dei loro figli, ma in realtà dimostrano di conoscere poco la psicopedagogia e di non essere lungimiranti rispetto alla personalità del figlio che stanno plasmando. I genitori devono capire che anche i “no” aiutano a crescere. I bambini hanno un assoluto e disperato bisogno di limiti, confini e regole che li aiutino nel processo di formazione della propria identità e di comprensione della realtà. Il mondo sociale che il bambino affronterà sarà costellato da esperienze deludenti ed insoddisfacenti che contrastano con le sue necessità. Se fino ad allora al bambino tutto è stato consentito, e non ha mai subito un’esperienza frustrante, non sarà mai in grado di trovare le forze necessarie di fronte ad un insuccesso esterno che per la prima volta gli mostrerà la realtà come ostile e disinteressata ai suoi desideri.

Per essere forte, una persona deve acquisire la tolleranza alle frustrazioni, la capacità di percepire la realtà come essenzialmente indifferente ai bisogni umani e di comprendere che anche le altre persone hanno delle esigenze che non sempre collimano con le proprie, ed anzi, molto spesso colludono.

Talvolta ci si può ritrovare frustrati per la propria incapacità di controllare situazioni che sono probabilmente ingestibili da qualsiasi essere umano, ciò nonostante la saggezza deriva dal considerare le frustrazioni come una parte inevitabile della vita di ciascuno. Una delle esperienze più difficili da affrontare emotivamente è quella del desiderio frustrato, tuttavia le delusioni vanno sfidate con un atteggiamento reattivo ed una mentalità vincente che stimoli il problem solving e la ricerca di alternative per superare gli ostacoli.